Le donne di Lilly
Ad un esame, magari introspettivo, ma superficiale, la scultura di Lilly Marcotulli (amica irripetibile ed unica) potrebbe sembrare una iterazione del mito di Narciso. E chi non lo ricorda? Innamorato fino allo spasimo della sua immagine, tanto si specchiò nella fonte sino a trovarne morte. Gli Dei dell'Olimpo, misericordiosi, lo trasformarono nel fiore omonimo. Non credo, tuttavia, che Lilly sia a tal punto conquistata dalla sua proiezione muliebre. Certo è, però, ch’ella predilige le figure femminili. Poche volte, infatti, nella sua scultura ricorrono i torsi o le sembianze degli uomini. Forse, più che di una predilezione si tratta di un vezzo. Tutto femmineo. Tutto intriso di leggiadria, s'intende. Il corpo dell'uomo, messo a nudo, secondo me è ridicolo. La perfezione, la sintesi, la bellezza e la medesima perfezione bisogna necessariamente cercarle nell'immagine femminile. Gli ingredienti della scultura (dal giorno, lontanissimo, che il mondo diventò civile) è d'uopo scoprirli qui. Un coacervo, sia pure estenuante, di concetti distillati e passati al vaglio attraverso lo scorrere lento degli anni: dalle antiche civiltà mesopotamiche ai nostri giorni, ricchi dei capolavori di Brancusi, Rodin, Martini e Marino Marini. Certo, la scultura di Lilly è sopra tutto memoria; memoria delle favole belle e mai scritte e delle parole: pensate e non composte.Il suo oggetto, quasi un transfert (mai, però, nel senso freudiano) è la creta; la materia con la quale Iddio plasmò l'uomo alitandogli sopra per dargli un'anima. Cioè, l'essenza profonda e indistruttibile della stessa nostra esistenza. Fatta, nel punto più sublime (quand'è raggiunto) di bellezza indeclinabile. Lilly si esprime egregiamente. Le sue sculture rappresentano il simbolo stesso della perfezione. Slanciate, eleganti e arcuate il tanto che basta per segnarne i limiti e i confini. Suppongo che, se fosse vissuta in tempi diversi e più interessanti e interessati alle opere d'arte, Cellini l'avrebbe tenuta in grande considerazione. Non sembri un'iperbole né un paradosso. In pittura, certi raffronti non sono affatto consentiti; apparirebbero, anzi, del tutto assurdi. Se invece si parla di scultura, sì. Eccome! Sono addirittura icastici. Tutta la gentilezza e la sensibilità di Lilly Marcotulli si ritrovano nelle sue opere. La malinconia, a ben guardare, le invade. Ma questo non è un difetto. Forse, l'artista abbonda di romanticismo. Non certo come fatto di maniera. Bensì come un soffermarsi, brevemente, su certi canoni classici dai quali prendere slancio per decollare verso cieli più tersi. Una scultura, in definitiva, decorosa e corroborante. Che, indubbiamente, invita anche a riflettere sulle nascoste e imprevedibili sorgenti dell'arte; quand'esca, senza alcun infingimento o fronzolo, è arte pura. Michele Calabrese
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«La volpe e l’uva» Omaggio alla scrittrice Flora Volpini
Il pollice di Leonetta Una scultura. Sola. Isolata. «La volpe e l’uva» si intitola la mostra che in questi giorni Leonetta Marcotulli inaugura allo «Studio del Canova» a Roma. Un omaggio, mi par di capire, alla ormai dimenticata autrice di «La Fiorentina». Flora Volpini. Interessante sarebbe anche sapere se Leonetta ha inteso raffigurare nella volpe o nell’uva l’intrepida e giovine autrice (credo non abbia ancora compiuto gli ottant’anni: auguri, Flora, almeno per altri cento) del suddetto romanzo. Della Marcotulli ho avuto occasione di scrivere altre volte su queste stesse pagine. Un mostro di bravura. Ho sempre fisse nella memoria le sue «Maternità»: quanto di più bello e sincero e valido si sia mai potuto offrire al «miracolo» della nascita. Pensando a Leonetta, mi ricordo del giudizio che D’Annunzio manifestò nei confronti del marchese-scultore Clemente Origo: «Artefice dal pollice potente e sprezzante». Credo ciò possa valere pure per la Marcotulli. Mi sono recato giorni addietro nel suo studio-abitazione di Via della Lungara, che mi ha suscitato il ricordo del Vittoriale degli Italiani, a Gardone. L'ultima dimora del poeta delle “Laudi”. Un bric-à-brac a dir poco fantasmagorico. Sculture, tele disseminate dappertutto, gatti a coorti. Di tutte le razze e di tutti i colori. Affettuosi con gli ospiti e, talvolta, pure bizzosi. Ecco, mi verrebbe quasi voglia di nominare l'artista Santa Leonetta dei gatti. Non siamo forse un popolo di santi, di poeti e di navigatori? In privato la nostra amica è spumeggiante e piena di verve. Nello studio è decisamente un'altra. Come Fregoli, si trasforma. Dipinge, modella, scolpisce. Non lascia spazio agli eventuali interlocutori. Il resto non la interessa. Magari ti offre da bere, ti apre uno scatolo di sigarette, ti esorta a girare per lo studio. A vedere, ad annotare, a rendersi perfino conto della sua fatica senza fatica. Ma continua, imperturbabile, a seguire il filo dei suoi pensieri. Della sua ispirazione. Ad un tratto ti accorgi ch’è chinata sul magma informe di un blocco d’argilla che, presto, con l’agitarsi delle mani assumerà dimensioni e fattezze. Mi piace osservarla mentre lavora, mentre piega la materia informe alla sua indomita volontà. E nascono così manufatti (le opere) che poi andranno ad allietare qualche casa o qualche museo. Leonetta Marcotulli ha veramente, come scriveva D’Annunzio, il «pollice potente e sprezzante». Forse, mi perdoni il Poeta, più potente che sprezzante. Michele Calabrese
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