Sette gatti e una donna

 

Leonetta Marcotulli crea nella scultura delle figure accattivanti, oppure queste devono il loro potere di seduzione al fatto di appartenere ad un inequivocabile dominio espressivo? Questa è la domanda che mi sono posta in prossimità di una mostra che presenta, raggruppati in stretta parentela ed affinità, sette gatti e una donna, concentrata quest'ultima in un unico atteggiamento reclinato e concluso da cui il volto si perde a vantaggio di altri elementi, mentre loro, i gatti, sono tutto-volto, sguardo, intenta attenzione. Sui caratteri della singolare famiglia si potrebbe ragionare a lungo, salvo poi a scoprire che la chiave di quella perfetta intesa sta tutta in una tenace ironia che si diletta ad inquietare lo spettatore a caccia di soluzioni simboliche. Ma se sul versante dell'immagine è l'ironia ad attirarci e la sfida ad una ricerca di senso che non si esaurisca tempestivamente, per quel che riguarda la forma ciò che conta è che le figure sono affidate a un linguaggio espressivo per così dire “classico”. Perché si tratta di scultura a tutto tondo, vale a dire di una soluzione estetica restituita al canone greco che dà ai corpi volume, peso, una sostanza materica sempre meno agganciata ai moduli leggeri del nostro presente. L'opera di Leonetta sembra rispondere a qualunque domanda si possa rivolgere alla scultura oggi, dando una risposta solo apparentemente insondabile: la scultura è scultura è scultura è scultura... Dice inoltre: il legame con l'oggetto cui si riferisce è stretto tanto da accentuarne le peculiarità; la sensuosità data dalle forme e dalle materie si arricchisce, per translato, di nuovi significanti nell'opera. E tuttavia questa, morbida voluttuosa sinopia dell'altra figura, di quella vivente, non cessa di rivolgerglisi, di colloquiare con essa ponendo a noi che osserviamo il dilemma di una scelta di autenticità, di vivezza. Situazione assai prossima a quella del sogno, allorché il sognante, accortosi di sognare, deve scegliere tra due equivalenti oppur antitetiche certezze.
Raggianti malinconiche scherzose figure di gatti, più vere del vero, ci attraggono in un gioco di rimandi che occulta la verità sempre a vantaggio della finzione, dello spettacolo, dell'inganno, del sogno.

Federica Di Castro